ste||arium

31.3.06

Gunther Coscioni

Ero uscito a cercare il cane Gunther quando la mia attenzione canina è rimasta incollata al suono circolare di queste parole: "Tre anni fa mi sono ammalato ed è come se fossi morto. Il Deserto è entrato dentro di me, il mio cuore si è fatto sabbia e credevo che il mio viaggio fosse finito. Ora, solo ora, comincio a capire che questo non è vero. La mia avventura continua, in forme diverse, ma indiscutibilmente continua. Nove anni fa, nel Deserto del Sahara, stavo cercando qualcosa. Credevo di essere alla ricerca di me stesso e mi sbagliavo. Pensavo di voler raggiungere un traguardo e mi sbagliavo. Quello che cercavo non era il mio ego o un porto sicuro, ma una rotta verso quella terra per me così lontana dove abitano Amore e Speranza" (Luca Coscioni).

29.3.06

ono ma topeico


Ho guidato per un’ora con un cartone di birre vuote nel portabagagli. Tin,ti-tin, tiri-titin. Con il loro suono allegro e infantile le disoccupate bottiglie di Beck’s mi sembravano quelle teenager pettegole che ormai vedi solo più nelle repliche di ora-pro-nobis Happy Days. Alla festa mi ero divertito, me ne stavo tornando a casa soddisfatto. Però dopo cinque sei tin,ti-tin, tiri-titin consecutivi i pensieri distesi cominciano a scomparire. Alla prima raccolta differenziata vi scarico, le minacciavo tra me e me. Loro non capivano e ignare: tin, ti-tin, tiri-titin. Dopo qualche chilometro di quel suono sapevo già molto; dunque loro erano il pubblico di una sit-com americana, di quelle con gli applausi in scatola. Stavano ridendo le stupide. Ma chi era il regista di tutto? Ma certo, ero io. Allora, se scalo la marcia prima della rotonda, un passaggio da terza a seconda, cosa otterrò? Tin, ti-tin, tiri-titin! Bene, stanno al gioco. Voglio sorprenderle, mi fermo secco alla rotonda: tin, ti-tin, tiri-titin, titititi-tin-tin-tiritin. Gli impulsi che davo alla mia macchina equivalevano un po’ al ritmo dei dialoghi di queste sit-com, le bottiglie erano la risposta alle sollecitazioni. Passaggio da prima a seconda, battutina per rompere il ghiaccio (tin-ti-tin); curva secca a destra, allusione o doppio senso (slaafff tin-tin-tiritin); scalo da quarta a terza, affermazione buffa (tin-tin-ti-tin); frenata, mega freddura che chiude il dialogo (titititi-tin-tin-tiritin). Cazzo fa quel pazzo che inchioda in mezzo al rettilineo? Scusate, ma Bob aveva appena appeso il suo cappotto alla suocera che evidentemente NON era l’attaccapanni (tin, ti-tin, tiri-titin, titititi-tin-tin-tiritin). Pochi chilometri dopo non ero più il regista, bensì l’ostaggio delle mie bottiglie di birra vuote. I cassonetti passavano e non ce la facevo scaricarle. Dovevo farle fuori a tutti i costi, sennò mi avrebbero obbligato a farle ridere ancora, ancora e ancora in tutti i modi possibili. Sono situazioni spiacevoli, però capitano… Arrivi in un posto, pensi di capire tutto ciò che succede intorno a te, ti comporti da re del circo e poi finisci stritolato dall’ingranaggio che tu stesso hai messo in moto. Tin, ti-tin, tiri-titin. Bastaaa, il bimbo vuole scendere. Rincaso e mio padre, che un po’ mi conosce e (forse) aveva capito tutto, apre il baule e senza dire niente toglie di mezzo quelle carogne. Alla fine, se ti salvi, è sempre per l’aiuto di qualcuno.

27.3.06

ci vorrebbe una museruola

Ho sufficienti motivi infondati per ritenere che il qualunquismo sia anche un valore. Più spesso il qualunquismo è un coltello da cucina in mano a un bimbo di tre anni. In certe occasioni mi capita di avere tra le mani questo coltello dimostrando, ogniqualvolta, non più di cinque anni. Il risultato è che padroneggiando male l'arma finisco sempre col ferirmi e, fatto malauguratissimo, ferisco pure il mio interlocutore/avversario.

21.3.06

io? sandinista

Immaginare la città di Sesto completamente ricoperta di sabbia. Oppure il Monginevro ricoperto di sabbia. Rivoli sommersa da decine di metri di sabbia, dall'alto intuisco ancora la disposizione e il senso delle case. Da piccolo, quando giocavo nella sabbia, giravo al contrario i secchielli rossi e piantavo come alberi le macchinine colorate, poi ricoprivo tutto con uno strato di sabbia. A quel punto esistevano solo più due cose, la sabbia e le forme. Nella mia città di sabbia c'erano solo più due tinte, il chiaro del sole e l'ombra delle mie forme.

se mangio una pesca

Ho trovato una foto di Sesto (San Giovanni? Fiorentino?) dove predomina il rosso. Ogni cosa è colorata di rosso dalla sabbia del Sahara. La didascalia dice: Sesto toccata dalla sabbia del Sahara. Quella sabbia, sollevata da qualche tempesta, saldata dal vento alle nuvole, spinta da qualche alta/bassa pressione è arrivata fino sul cielo di Sesto e anche sul mio ping pong in provincia di Cuneo. Poi la pioggia ha cominciato a cadere, qualche volta anche la neve cadeva rossa, proprio in quel punto. Quel granello di sabbia del Sahara che ora mi fa incazzare perché ha appena deviato la traiettoria della pallina nel mio ping pong, qualche settimana prima se ne stava in mezzo a un buco del deserto, magari calpestato dalle jeep o dai camion dei pozzi petroliferi. E poi mi ritorna in mente una canzone: “Se ti do un bacio e poi levo la parola bacio. Quello che rimane è meraviglia. Come prendere il sole su una spiaggia bianca”. Mi sa che unisco le due cose, la sabbia del Sahara e la parola bacio. Quella sabbia che non era certo nata per farsi chiamare sabbia, di sicuro i beduini la chiamano con un termine arabo; così il bacio, che la prima volta che è stato sperimentato non aveva certo nome. Neanchio nel 1980 avevo nome, al massimo mi chiamavano desiderio. Noi i nomi li usiamo per linkarci le nostre definizioni imparate nella crescita. Ogni giorno un nuovo concetto a cui linkare un nome. Bacio: manifestazione di affetto da bocca a bocca. Sabbia: terreno proveniente dall'erosione dell'arenaria. E invece ora slinko tutto, riparto da subito dopo l'utero. La macchina del M ha un buco nella T, che ridere quando la cantavamo da piccoli al camposcuola. Un bacio sulla spiaggia? Un po’ di sabbia del Sahara ti finisce tra i denti, che schifo. Tolgo a sabbia del Sahara la parola sabbia-del-Sahara, clicco sull’oggetto sabbia e non linka a nulla. Mi sento perduto! Oppure: che sciccheria! Che cosa vuol dire questa foto rossa? Quella è pura sensazione nel mio palato, isolata, testarda, in tante piccole unità dure. Idem per l’azione del bacio. Allora ora tu mi baci, con la lingua anche, ma non ho certo idea che mi stai dando un bacio. Bello, no? Un sensazionale scambio di vedute. Ma forse, visto che non conosciamo il significato e i diritti/doveri stabiliti dal bacio, per stasera (visto che mi sono appena tagliato la lingua) possiamo anche scegliere che ci piace di più bere il tè alla pesca in due diverse tazze rosse.

Etichette: , , ,

16.3.06

Ursula Andress oggi è un po' giù

Uffa, Fastweb a casa non funziona, il mio post su Milano fa schifo e l'Udinese delle riserve è fuori dalla coppa Uefa. A questo punto ha ancora senso scrivere? Buonanotte.

11.3.06

carnevali a confronto

Sette giorni fa ho preso il treno verso Milano. Attorno alle quattro del pomeriggio arrivo in stazione Centrale, prendo la metro e scendo a San Babila dove ho un appuntamento. Sbuco fuori dal sottosuolo e vedo il finimondo intorno a me. In terra giacciono centinaia di migliaia di coriandoli, i bambini portano i costumi colorati e pure molti genitori. È il carnevale ambrosiano, mi dicono gli amici. Accanto al mio piccolo gruppo di convenuti un’orchestrina peruviana fa karaoke coi flauti delle Ande su basi preregistrate e sotto i portici le ragazze girano con borse di H&M piene di fashion. E se l’appuntamento fosse stato oggi? Proviamo a immaginare… dunque, arrivo a Milano Centrale, prendo la metro per la solita fermata. Alcuni manifestanti alla deriva hanno appena pisciato un po’ di orgoglio e pregiudizio sui portici borghesi di piazza San Babila. Sbucando dal sottosuolo vedo in terra pezzi di vetro e vetrine come coriandoli, i “black bloc” giocano con i loro costumi scuri non tanto diversamente dai bambini di sette giorni prima e i gli “assassini”, nella parte di genitori violenti, provano a farli ragionare a suon di botte. Li guardo e penso: ben fatta, ma è la solita recita. Bravi i figuranti, H&M mi sta proprio sul culo e in scena è andato un gran bel carnevalone, fico fico; però la prossima volta, se possibile, si provi a cambiare il canovaccio. Suggerimento: perché non coinvolgere l’orchestrina peruviana?

8.3.06

Lapo Marochetti

Gilberte Brassai, Parigi (1933)

Sei un eroe. La tua vita è un esempio per gli altri. Finalmente muori e lasci in mani fidate il compito di tramandare la tua lezione ai posteri. Ahhh ssssììììì, l’immortalità. Mettiamo che ti chiami Carlo Marochetti, scultore (1805-1867), sessantadue anni di vita piena di cose belle e pompose. Di pietre e bronzo innanzitutto, poi di donne e riconoscimenti; è ancora lì in piazza San Carlo il tuo Emanuele Filiberto a cavallo. Sei un maestro dell'arte. Torino riconoscente si fa carico di chi perora la tua causa e ti dedica una via. Via Marochetti. Una via con delle case, anzi dei palazzi, ciascuno con un numero. Per esempio il 21. Bravo Marochetti, ce l’hai fatta, sei arrivato. E invece no. Tu sei morto e in serenità ti sei decomposto, ma anno dopo anno la tua via si riempie di lucciole. A Torino “Marochetti” diventa un passaparola per chi è alla ricerca di sesso coi trans. E una notte Lapo Elkann decide di mettere fine alla sua brillante carriera di predestinato in modo poco conveniente facendosi beccare in overdose in compagnia di alcuni trans proprio al 21 di via Marochetti. Caro Carlo mi spiace, sei finito. La fama di Lapo, per evidenti motivi di contiguità storica, è infinitamente superiore alla tua. Via Marochetti viene così ingoiata nel vortice “lapico” e diventa parte di una vicenda grottesca che fa il giro del mondo. Caro Carlo, troppo tardi hai saputo: l’immortalità è una bella fregatura e il tuo nome non ti apparterrà mai più.

6.3.06

Arrivederci amore, ciao, le nubi sono già più in là

5.3.06

Niente di nuovo sul fronte occidentale (Sahara Occ.)

3.3.06

dal Manzanarre al Reno

Un decimo delle polveri che respiriamo a Torino viene dal deserto
del mare d’Aral. Se mi faccio un bagno nelle acque di La Rochelle incontrerò sicuramente una molecola di H2O che è stata almeno un giorno nella baia di Nouadhibou. E io di cosa sono fatto? Di pura materia locale? Dio, Natura vi prego e penso: NO. Fatico a comprendere il mito della razza pura. Il mio sogno è da sempre realtà: stupido non averlo pensato prima, ma sono composto da molecole di diversa provenienza. C’è possibilità che un giorno transiti nel mio corpo una nanogoccia d’acqua che per qualche minuto si trovò a passare per il porto di Stanley nelle Falkland? Credo di sì. E per il principio inverso mi sono sorpreso diverse volte a sputare in un posto lontano. Sputavo in terra per lasciare il mio contributo di saliva a quella terra che non avrei più calpestato. E chissà da dove avevo preso la mia saliva. Quel tè che mi ero bevuto da dove arrivava? Da Ceylon? E la pelle della ragazza nel pub di Colonia? Di cosa era fatta quella pelle? Non siamo fatti di noi. Siamo fatti di tutto. Ne sono sicuro e rido di gusto: sono in preda a un attacco di improvviso, acuto panismo e mi trovo a scrivere su Internet… che si basa sul principio dell’intertestualità. Che per me è lo stesso principio che muove le polveri dall’Aral sea verso Torino.

Etichette: ,

2.3.06

Alzi la mano chi si ricorda ancora la guerra del Polisario

Deserto del Sahara e oceano Atlantico nei pressi di Nouadhibou (Mauritania)

La solitudine è una brutta bestia.
Linkatemi pure se vi sentite soli e io farò altrettanto con voi.

  • gianluca

  • civitaweb

  • andrea's

  • [about:blank]

  • un post al web

  • agloco-ciao

  • @people and music@

  • spartaco libero


  • Etichette: